Esistono moltissime definizioni del termine “automazione”. L’automazione è una disciplina, una funzione, un insieme di tecnologie… Sono tutte definizioni corrette, ma che spiegano sempre troppo o troppo poco. Partiamo da qui. Il termine automazione nasce per identificare tutto ciò che è necessario per far funzionare una macchina (o un processo) in modo automatico, ossia senza l’intervento dell’uomo. L’automazione industriale, in particolare, sfrutta tecnologie meccaniche, elettroniche ed informatiche per il controllo dei processi produttivi industriali, governando flussi di energia, di materiali e di informazioni.
Dal punto di vista storico, l’automazione è nata con il principale scopo di sostituire l’uomo in compiti ripetitivi o nocivi, con apparecchiature in grado di operare in modo autonomo o con minimi interventi da parte dell’operatore umano. Fondendo tecnologie industriali proprie dei processi di produzione e tecnologie informatiche, si propone di consentire la gestione efficiente delle informazioni, ponendosi come branca dell’ingegneria moderna che ha per obiettivo quello di ridurre o eliminare l’intervento dell’uomo nella produzione di beni e servizi.
Come è fatto un sistema di automazione?
Un sistema di Automazione può essere descritto come una Piramide (modello CIM) nella quale si possono individuare diversi livelli che partono dalla base del sistema, che è il processo da controllare, e arrivano alle strutture aziendali generali. Una delle versioni più diffuse della piramide CIM distingue quattro livelli: il “campo”, cioè il luogo dove si trovano i processi da controllare e i sensori; il “controllo”, dove si trovano i dispositivi di automazione come regolatori, controllori, HMI locali ecc.; la “supervisione” con i PC e i sistemi deputati al monitoraggio; il livello “enterprise” dove risiedono le altre attività aziendali.
In base alle funzioni svolte nei sistemi di produzione, si possono individuare tre tipi fondamentali di componenti di un sistema di automazione: i sensori, che hanno come obiettivo la misurazione di grandezze di interesse per valutare lo stato di avanzamento e/o il corretto svolgimento del lavoro in esecuzione; gli elaboratori, i quali, sulla base delle misure fornite dai sensori e degli obiettivi del lavoro in esecuzione, decidono le azioni da intraprendere; gli attuatori, che eseguono le azioni comandate dagli organi di elaborazione.
Le metodologie dell’automazione offrono gli strumenti per progettare, in termini astratti e formali, gli algoritmi che gli organi di elaborazione useranno per decidere le azioni da esercitare sull’impianto da automatizzare; le tecniche dell’automazione si occupano invece dello sviluppo dei dispositivi fisici per costruire sensori, attuatori ed elaboratori.
Un cenno alla storia
Precursore dei sistemi di automazione può essere considerato il regolatore di velocità di J. Watt (fine del Settecento) per le locomotive a vapore, il cui scopo iniziale era di mantenerne la velocità costante, indipendentemente dal peso trainato o dalle pendenze della strada ferrata. Il regolatore, basandosi sulla velocità reale e confrontandola in modo meccanico con quella prestabilita, riusciva ad ottenere la potenza necessaria per variare la velocità.
I sistemi automatici modernamente intesi nacquero sul finire del secolo successivo, all’epoca della rivoluzione industriale e delle macchine a vapore, dalla necessità di avere macchine sempre più veloci e precise. Si resero perciò necessari meccanismi in grado di correggere automaticamente i fattori di disturbo che alteravano il funzionamento delle macchine. Fino all’inizio degli anni cinquanta del Novecento gli elaboratori erano congegni di tipo meccanico o pneumatico che consentivano di eseguire algoritmi di elaborazione piuttosto limitati e la loro connessione a sensori e attuatori costituiva già di per sé un complesso problema di ingegneria. In seguito però i sistemi di regolazione di tipo meccanico-pneumatico vennero progressivamente perfezionati. Di fatto essi costituirono la base dei sistemi di controllo industriali chimici e termici, utilizzando per il loro funzionamento veri e propri segnali pneumatici. All’inizio degli anni Settanta, lo sviluppo dell’Elettronica permise lo sviluppo di schede a basso costo, di dimensioni ridotte e di semplice sostituzione per la regolazione e il controllo di valvole e attuatori. La novità più rilevante è che si poteva costruire un unico prodotto hardware che si adattasse alle diverse applicazioni tramite la modifica del software.
Per la gestione dei segnali analogici (pressione, temperatura…) e la regolazione di processi chimici e termici nacquero i DCS (Distributed Control System). Per il controllo di macchinari e dispositivi elettrici convenzionali furono invece sviluppati dispositivi per elaborare i segnali digitali, con lo scopo di sostituire i tradizionali quadri elettromeccanici (composti da relè, temporizzatori, contaimpulsi, ecc.): i PLC (Programmable Logic Controller). La disponibilità sempre maggiore di sistemi di elaborazione potenti, versatili e a basso costo ha permesso di eseguire funzioni controllo sempre più avanzate; dall’altra, la semplificazione nello scambio di informazioni tra i vari elementi di un sistema di automazione, consentito dalle reti di comunicazione e dalla disponibilità di sensori e attuatori “intelligenti”, in grado cioè di inserirsi direttamente su una rete di comunicazione, ha permesso di semplificare i problemi di progetto, di realizzazione e di gestione di un sistema automatizzato e, di conseguenza, di ridurre i costi.
Con il passare dei decenni, lo sviluppo delle tecnologie informatiche e l’avvento di Internet hanno portato una vera e propria rivoluzione dei sistemi di automazione. Oggi infatti sono parte essenziale del mondo dell’automazione e del controllo tecnologie avanzate come quelle che sovrintendono a Scada, bus di campo, sensori wireless, internet delle cose e comunicazione autonoma tra le macchine (M2M), Cloud, strumentazione virtuale, sistemi cyberfisici, smart sensor e soluzioni per l’intelligence d’impianto.